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Immagine del redattoreMENADITO FAMILY

SCARTI - Cap 5 - Il giorno che Attilio aspettava da tutta la vita

di Francesco Soze


Se li era fatti tutti i bar di Forlì Attilio nel corso di quella giornata.

“Ma Attilio, non hai qualcosa da fare tu oggi?” era la domanda che si era sentito rinfacciare più spesso già dalle prime ore del mattino.


Aveva faticato a prendere sonno la notte precedente, nel gelo del parcheggio sotterraneo che chiamava casa durante i mesi più ardui da sopportare all’aperto.

Gli era capitato altre volte di rincorrere il riposo senza acchiapparlo: una volta per alcuni suoi amici molesti e traballanti, altre volte per questioni climatiche, un’altra volta ancora per via di un topo che Attilio aveva ribattezzato “l’Avvocato”, ma che quella notte di qualche anno fa proprio non ne voleva sapere di lasciare stare i piedi consumati di quel matto.


Quella volta, però, era diverso. Attilio non riusciva a dormire dalla felicità.

Attilio aveva un amico, una persona che aveva deciso di fermarsi a chiacchierare con lui per interesse e non per compassione.

Si era ripassato nella mente ogni particolare del loro assurdo dialogo, ogni dettaglio dell’abbigliamento dell’imbacuccato e misterioso intellettuale che aveva condiviso pensieri profondi che così profondi non li ascoltava da quella volta a quel party con Kant e Alberto Sordi.


“No! Non ho niente da fare, non ho… con questo nevone del ’14 il mio lavoro è chiuso, è…”

“Ah già. Ricordami un attimo qual è il tuo lavoro?” continuò il proprietario di un bar/tabacchi tra il Duomo di Forlì e via Anita Garibaldi, esattamente i luoghi dell’incontro avvenuto la notte precedente tra Attilio e l’enigmatico signore.


“Io mi occupo di contare le cose nella città, mi occupo. Sanpietrini, panchine, cartelli stradali, anche i bicchieri nei bar, anche.

Poi una volta contati li vado a dire al Cancelliere, li vado.”


“E chi è questo Cancelliere?”

“Paolo Bonolis!” rispose sicuro Attilio.


“Ah già. Capito Alfredo? Il cancelliere è Paolo Bonolis!” – il barista si stava rivolgendo ad un altro avventore abituale, più lucido di Attilio secondo il metro di valutazione della maggioranza, che rispose con un grugnito e una risata che scemò gradualmente in una tosse da fumo.

Si erano ripetute le stesse domande e le stesse risposte per tutto l’arco della giornata.

Attilio si era mosso saltellando da un bar all’altro, soffermandosi di tanto in tanto su qualche particolare della città che ai più sarebbe risultato se non inutile sicuramente indegno di attenzione.


Il suo obiettivo era quello di arrivare a sera, sperava con tutto il cuore che si potesse ripetere la conversazione da sogno della notte scorsa.


Per tre volte era anche passato di fronte all’ultimo posto nel quale aveva parlato con il suo amico, davanti a quel negozio che si chiamava Menadito, salutando il titolare che aveva risposto d’istinto e con poca attenzione, intento ad asciugare il disastro che la tempesta bianca aveva causato.

E così, come il binario di quella canzone di Claudio Villa che cantava sempre con la sua mamma Jolanda, Attilio si ritrovò triste e solitario seduto sul suo gradino preferito di Forlì, come un déjà-vu, circondato da centimetri e centimetri di neve.

Braccia strette al petto, ginocchia serrate l’una contro l’altra e un dondolio dal ritmo perfetto che lo aiutava a non ghiacciarsi. Il termometro della farmacia parlava chiaro: -5 gradi.

“Aah, ma è un canto brasileeero” - cantava con un sospiro fumante, continuando a muoversi in avanti e indietro, sempre più lentamente.

“Aah, ma è un canto brasileroo”. Ogni tanto si sentiva il rumore dello scuro di una finestra che veniva chiuso per l’ultima volta nel corso della giornata.

“Aah, ma è un canto brasi… brrr… brasil... brrr… brasilerooo” – il freddo stava vincendo contro il buonumore di Attilio.

“Aah, ma è un… ma è un canto…” – la lucidità lo stava abbandonando.

Era come paralizzato, le braccia e le gambe avevano perso di sensibilità ed erano irremovibili dalla posizione scelta da Attilio. Gli occhi si fecero sempre più pesanti.


Non così, non poteva andarsene nella nottata che aveva aspettato come un ossesso nelle ultime ventiquattro ore o forse da tutta la vita.

La sua mente stava ripercorrendo tutti i momenti più felici dalla sua nascita: il primo vinile comprato con i soldi della zia Adele; la bicicletta rossa fiammante con la quale aveva vinto la gara contro quello stronzo di Mariano, il figlio del fornaio; il voto “distinto” per il tema su Mazzini: “Il patriota che teneva un gabbiano al guinzaglio”; quella volta che aveva scoperto un sanpietrino nuovo all’angolo tra corso della Repubblica e via Volturno.

All’improvviso si sentì avvolto da un piacevole tepore che interpretò come l’ingresso nel Paradiso, come gli raccontò Marcello Mastroianni quella volta in sogno.

“…ilio!” – qualcuno lo chiamava.

“Oh, Dio sei tu, sei…?”

“…tilio!” – la voce continuava – “Attilio!!! Attilio svegliati!”

Attilio aprì gli occhi come colpito da una frusta e si ritrovò coperto da una sciarpa gigantesca, ornata da due fantasie diverse, una per lato.

“Attilio, stai bene?”

Si girò verso l’interlocutore: “Oooooh!! Bingooo!! Ahah! Sei tu!” – Attilio balzò in piedi.

La morte per assideramento in pochi istanti sembrò un brutto incubo – “Ti aspettavo da tutto il giorno, ti aspettavo!”

Il criptico ospite della sera precedente si trovava a pochi centimetri da lui, celato ed elegantissimo come se lo ricordava. Cappello, cappotto “giallo come il mare”, panciotto e grande sciarpa a coprirgli il volto.


“Io sto benissimo, sto! E tu come stai, come?” – Attilio dimostrava lo stesso entusiasmo di un bambino per la prima volta in un parco giochi.

“Sto molto bene, necessitavo di sgranchirmi le gambe” - era diverso dalla sera prima, sembrava avesse ingoiato un vocabolario e un vaccino contro la timidezza - “Sono stato tutto il giorno a studiare le persone, ad ascoltare i loro dialoghi in questa situazione che, mi sembra di aver capito, è di emergenza con la terra stanca sotto la neve, a capire i loro comportamenti…

tutta gente che sapeva a memoria dove voleva arrivare.

Così che cominciai a sognare anch’io insieme a loro, poi l’an…”


Attilio lo interruppe, con parole che uscirono quasi di loro spontanea volontà: “…poi l’anima d’improvviso prese il volo! Grandeeee!!!”


“Esatto! L’anima d’improvviso prese il volo!” gridò lo strano uomo rincarando la dose.

“Sei spigliato questa sera, sei! Ieri mi sembravi… sai chi mi sembravi ieri sera che parlavi poco, parlavi? Giulio Andreotti, il marito di mia zia, il marito.”

“Ci si mette un po’, ma poi si riesce ad assorbire molto dalle persone.

È facile prendere pezzi qua e là e formarsi una personalità.

La gente dice tante di quelle cose che non si rende conto di quello che lascia per strada.”


Attilio fece di sì con la testa sorridendo e senza capire, come una mucca che guarda il treno passare.


L’elegante avventore riprese a parlare: “E mirando così tante persone, tutte uguali, tutto il giorno, che si sentono protagoniste ho pensato al mio amico Attilio, così diverso, così interessante. Tutti sono pronti a giudicare, a criticare, a non vedere tutta la bellezza che hanno sotto il naso.

Cosa cercano? Cercano la perfezione, il bello.

So che è impossibile risalire dalla fossa dei leoni per noi… poterne uscire è solo uno slogan, è falsità!

Però le tue rughe ormai hanno troppi secoli, non si può truccarle. Ma possiamo evadere! Non si può sempre stare fermo immobile in mostra, con la gente che passa, guarda, ride di te e se ne va.”

Forse per la prima volta nella sua vita Attilio si trovò in confusione, si prese il mento tra le mani nella posizione del pensatore. Prese tempo e poi rispose: “Sai cosa mi diceva sempre Fellini, cosa?


Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita, è un.”

“Bravo! È esattamente questo il punto!

Bisogna parlare diversamente, a tutti! Dobbiamo farti trovare il modo di ritornare sulle scene Attilio! Solo così puoi cambiare la mentalità delle persone, tutta questa gente per bene, gente per male.”

“Tornare… tornare sulle scene???” - il cuore di Attilio stava per esplodere in mille coriandoli di felicità, scattò in piedi mani al cielo, come quando urlava insieme al papà durante i Mondiali di calcio – “Se lo sapesse Federico! Sarebbe felicissimo, sarebbe!”


“Benissimo! Allora bisogna incominciare subito, bisogna trovare un posto. Un palco!”

“Cerchiamolo!”

“Mi affido a te per questo compito Attilio, ora purtroppo devo rincasare. Ho sempre poco tempo.”

“Ma non c’è problema, non c’è! Poi io in città conosco tutti, conosco. Sono tutti miei amici, sono!”

“Sì, tutti” – rispose in modo incerto l’uomo dal cappotto giallo.

Attilio non rispose e prese a braccetto il magrissimo amico, insieme rifecero la strada fatta appena ventiquattro ore prima.

A passo veloce passarono per corso Giuseppe Garibaldi per raggiugere via delle Torri in direzione via Maurizio Quadrio, 26.


Attilio notò da lontano il barbuto titolare di Menadito appena uscito claudicante da un pub, intento ad accendersi una sigaretta lottando contro il vento. Sentì un brusco movimento al suo fianco. Il suo amico aveva abbassato la visiera del cappello procedendo, di fatto, senza vedere nulla, quasi nascondendosi da qualcosa.


“Che matto che sei! Non vedo l’ora che mi fai tornare sulle scene, che mi fai!

Ho ancora tutti i copioni che mi hanno lasciato, che mi hanno. Che poi mi dici tu cosa dire, cosa?” – oltrepassarono il pub, arrivando di fronte a Menadito.

“Sì, poi penseremo a cosa dire sul palco. Attilio, ti dico una cosa anche se potrà sembrarti strana da uno che hai appena conosciuto.

Fai molta attenzione a quelli che chiami amici. Le persone gli scarti come noi… li buttano. Ora vai. Ci vediamo domani”

Senza esitare un secondo di più Attilio girò i tacchi, saltellando in direzione via Anita Garibaldi.

“Aaaah, ma è un canto brasileroooo!”- continuava a cantare ogni tre balzi.

Incrociò nuovamente il capobottega di Menadito, più volte salutato nel corso della giornata, che sembrò squadrarlo attentamente, con la sigaretta tra le labbra. Se lo lasciò alle spalle, sorridendo fino ad arrivare ad un cartellone pubblicitario, sagacemente protetto da una lastra di vetro, avvolta da qualche strato di neve.


Attilio con la manica pulì il vetro, rendendo visibile l’immagine e la scritta:

FORLÌ – TEATRO “DIEGO FABBRI” - 1 FEBBRAIO, ORE 21.10 – ROBERTO BENIGNI LEGGE LA BIBBIA

Il primo febbraio sarebbe stato il giorno dopo.

Attilio sorrise e riprese a saltellare.

“Aaaah, ma è un canto brasileroooo!”


CONTINUA.









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